di Marco Manti
Il peso psicologico dei familiari di una persona malata
Assistere un malato o seguire quotidianamente una persona non autosufficiente può essere un compito arduo e sfibrante. Chi lo sperimenta viene definito con il termine caregiver. Precisamente la persona, soprattutto all’interno del nucleo familiare, che si prende cura del congiunto ammalato o disabile.
Le statistiche dicono che nel 70% dei casi si tratta di donne con un’età compresa tra i 45 e 60 anni. Ma non mancano caregiver più anziani: circa il 30% ha oltre 60 anni.
Prendersi cura di qualcuno implica non soltanto una fatica oggettiva, data da un impegno costante e senza quasi mai pause, ma anche un significativo fardello emotivo. In inglese ciò è definito “caregiver burden” e intende il peso delle attività di accudimento sul funzionamento fisico, emotivo, sociale e finanziario di chi se ne prende carico.
L’aiuto ha un’imprescindibile componente soggettiva: talvolta l’assistenza, anche se stressante e impegnativa, può essere vissuta come emotivamente gratificantI. In altri casi essere sentita come fortemente impattante sulla libertà personale.
Ma chi aiuta chi aiuta?
Coloro che si prendono cura per lungo tempo di un familiare hanno spesso bisogno di un sostegno psicologico che consenta loro di gestire vissuti e dinamiche tipiche dell’assistenza prolungata.
“Mi sento di scoppiare”; “Non sono più in grado di tollerare questa situazione”; “Non vedo vie d’uscita”; “Mi vergogno a dirlo, ma vedo la morte del mio familiare come una liberazione”…
Sono tutte frasi tipiche nel caso di caregiver burden. Alcuni studi hanno evidenziato come raramente il sistema sanitario presti attenzione alle preoccupazioni dei caregiver.
Questi diventano una sorta di “paziente invisibile”, in quanto il medico è focalizzato soprattutto sul malato dimenticando lo stress psicofisico di chi lo accudisce. Purtroppo però i bisogni di salute e psicosociali di queste figure si ripercuotono direttamente anche sulla qualità dell’assistenza.
I familiari del malato cronico o del disabile rischiano di andare incontro a un esaurimento emotivo caratterizzato dalla sensazione di solitudine, poco spazio per sé, avere la vita risucchiata dall’attenzione al paziente.
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Esistono fattori che amplificano il carico negativo, quali l’avanzare dell’età, il genere (le donne tendono a sperimentare un maggiore peso) o le difficoltà economiche. Mentre un elemento che riduce il peso dell’assistenza è un ambiente familiare aperto all’esterno, che facilita l’instaurarsi di una rete condivisa di accudimento. Le ricerche sul caregiver burden hanno evidenziato come questa condizione sia associata a un deterioramento della salute, un incremento di problematiche psicologiche e un peggioramento della qualità della vita da un punto di vista sociale e relazionale.
I principali effetti clinici sono causati da un ciclo sonno-veglia disturbato, perdita di peso e alimentazione inadeguata, scarsa attenzione alla prevenzione delle malattie. Da un punto di vista psicologico emergono sintomi ansioso-depressivi, lo stress cronico, pensieri suicidiari, sensazione di non avere vie d’uscita. L’impatto sull’ambito sociale interessa la difficoltà a mantenere un’attività lavorativa, problemi finanziari, assenza di tempo libero per coltivare interessi e amicizie.
Negli Stati Uniti la “National Family Caregivers Association” fornisce i seguenti consigli per meglio affrontare il peso dell’assistenza:
“Non permettere che la malattia del tuo caro sia costantemente al centro della tua attenzione. Rispettati, hai diritto a trovare spazi e momenti di svago.
Accetta l’aiuto di altre persone in tua vece.
Impara il più possibile sulla patologia del tuo caro: conoscere aiuta”.