Alimenti «di resistenza», i cereali ci hanno sfamato fin dall’antichità. Grazie alla capacità di conservarsi a lungo i loro semi, nutrienti e sazianti, si rivelarono per i nostri progenitori un’importante integrazione per i mesi invernali. Inizialmente erano consumati crudi; poi, con la scoperta del fuoco, ecco gallette e polentine arricchire la dieta di sapori e di nutrienti.
Per millenni l’uomo si è alimentato di questo cibo prezioso, capace di fornirgli energia, fibre, minerali e vitamine.
Ma alla fine dell’Ottocento, con l’introduzione di mulini con rulli di acciaio capaci di agevolare la separazione del chicco dagli strati esterni, la farina bianca risultò più conveniente. Da allora, progressivamente, prese il posto di quella integrale, grazie anche al fatto di conservarsi a lungo senza irrancidire. Sembrava un progresso.
Fino ad allora, il pane bianco era consumato solo dai ricchi, ed era tanto chiaro e fragrante! Peccato che così al pane, alla pasta e ai vari derivati non resta che la componente amidacea, capace di provocare l’innalzamento della glicemia: insomma, oggi consumiamo prodotti morti. Ma il problema non si limita a questo.
Nel Novecento, si sono aggiunte modificazioni genetiche che hanno portato alla nascita del frumento Creso, un prodotto molto diverso dai precedenti ma praticamente diffuso in tutta Italia, con una conseguente e netta riduzione della biodiversità.
Cereali antichi e cereali moderni
Fino agli anni Settanta del secolo scorso, la varietà di grani italiani si declinava con moltissimi nomi.
- il Saragolla, o Saragodda, un grano duro coltivato in varie zone del Sannio: di sapore deciso, è ritenuto strettamente affine al kamut.
- il Carosello, diffuso in quasi tutto il Centro e in parte del Sud, capace di crescere in collina e perfino in montagna.
- Nel ragusano si produceva un pane dal gusto squisito con il Russello,
- in Abruzzo si ricorreva al Solina, un grano tenero.
Caratteristica comune di questi e altri frumenti era la capacità di crescere su terreni poveri, quindi di adattarsi alle condizioni locali; a seconda delle esigenze c’erano poi grani da seminare in primavera o in autunno, c’erano grani più resistenti alla ruggine e che, nel complesso, richiedevano un minor impiego di sostanze azotate e di acqua.
Il passaggio dagli antichi grani alle moderne varietà ebbe inizio negli anni Venti con le moderne tecniche di selezione, intese a trovare un tipo di grano con una maggiore resa. Venne selezionato allora il Senatore Cappelli: capace di una resa di 18 quintali per ettaro, dominava i campi con il suo metro e 70 di altezza e le sue spighe scure.
Ma le spighe alte tendono ad allettare facilmente (cioè a sdraiarsi) con vento e pioggia, perciò diventa difficile la mietitura con le macchine. Ecco perché si cominciò ad abbassarle gradualmente, finché nel 1974 non comparve la varietà Creso, ottenuta con l’impiego di raggi gamma. Bastarono dieci anni perché il Creso si diffondesse in tutta la Penisola, soppiantando le varietà esistenti.
Questo ha comportato:
- un maggior impiego di concimi azotati e di acqua, indispensabili alle varietà industriali per crescere,
- le 5-6 varietà di grano sul nostro territorio sono strettamente imparentate tra loro: ciò significa che se si ammalassero resteremmo senza grano.
- spesso le varietà locali avevano un maggior tenore proteico (fino al 18 per cento, contro il 12 del grano attuale) e un minor contenuto di glutine (10-11 per cento contro il 14 per cento del Creso e addirittura il 17 per cento del canadese Manitoba) al contrario delle nuove ed economicamente vantaggiose varietà.
L’aumento del glutine ha un duplice scopo: da una parte facilitare la preparazione degli impasti del pane e agevolare la lievitazione; dall’altra, facilitare la tenuta degli impasti per la pasta fresca e secca. Peccato che questo ha comportato anche un aumento della frazione di glutine tossica per i celiaci.
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Inoltre il pane che si trova oggi in commercio contiene sostanze destinate a migliorare il sapore di farine non sempre di ottima qualità.
Spesso, poi, quello integrale è realizzato con lievito di birra invece che con lievito madre. A questo si aggiunge il fatto che non viene più usato il forno a legna. Il risultato è che non si hanno quelle reazioni chimiche fra zuccheri e proteine che danno un prodotto valido dal punto di vista organolettico. E in fin dei conti l’eccesso di igiene può rivelarsi più nocivo che benefico, perché il sistema immunitario non viene stimolato.
Non andiamo meglio con la pasta di produzione industriale, che non viene fatta seccare come dovrebbe – cioè pian piano – e a basse temperature. Così si ha una gelificazione degli amidi, la pasta non scuoce né si rompe in cottura, ma risultano difficoltose la digestione e l’assorbimento di nutrienti.
Il ritorno di due antichi grani: la riscossa di kamut e farro
Farro e kamut appartengono allo stesso genere del grano ma, a differenza di questo, hanno subito meno mutazioni genetiche. Ne rappresentano perciò valide alternative, sia per il gusto sia per il valore nutrizionale. Vale la pena introdurli entrambi nella dieta (il farro in particolare), soprattutto sotto forma di chicchi.
- Il farro, considerato sacro presso antiche popolazioni italiche, era un cereale di base per i romani. Un tempo era coltivato un po’ in tutto l’Appennino centrale ma poi, a causa della scarsa produttività, rischiò di scomparire. Per fortuna, negli anni Ottanta è stato recuperato e oggi è ancora possibile gustarlo. Il farro, detto anche «frumento vestito» perché la parte esterna del seme aderisce al chicco, si distingue a seconda delle dimensioni del chicco tra piccolo, medio e grande (o spelta).Più saporito del grano, presenta un profilo nutrizionale simile ma contiene meno glutine, soprattutto nel caso del farro piccolo; tra l’altro, questo risulta più digeribile di quello del frumento.
- Il kamut è ritenuto una varietà di grano tradizionalmente coltivata in Nordafrica e Asia Occidentale. Benché fosse probabilmente coltivato localmente anche in Italia, è comparso sul mercato negli anni Ottanta con il brevetto di un agricoltore americano, che fa risalire un po’ nebulosamente la sua origine agli egizi.È un ottimo cereale, ricco di proteine (ben 17 per cento contro il 12 per cento di farro e frumento), lipidi, sali minerali e vitamine. È ritenuto erroneamente adatto ai celiaci: per quanto indubbiamente meglio tollerabile del frumento, non è comunque idoneo per chi soffre di celiachia a causa del contenuto di glutine. L’inconveniente di questo grano dal grande chicco è la scarsa redditività della coltura: perciò il prezzo è elevato e supera quello del già costoso farro.
Quali cereali comprare?
Variate i cereali (acquistateli integrali e in chicchi) e limitate il consumo di frumento, apprezzate la biodiversità dei cereali cercando le varietà vecchie nella propria zona di residenza e variando le specie:
- il riso, prima di tutto (che nel centro sud è poco usato e al nord viene purtroppo usato quasi sempre brillato),
- il grano saraceno, i cui morbidi chicchi quasi triangolari cuociono rapidamente e, se lasciati a bagno per una notte e sciacquati, non hanno nemmeno bisogno di cottura;
- la segale, che costituiva l’ingrediente principale del pane non soltanto del Trentino Alto Adige (ancora in uso in Val Venosta), ma anche dell’Aspromonte, e che oggi praticamente più nessuno consuma sotto forma di chicchi;
- il mais, ben diverso dai suoi antenati: oggi le sue brattee corte favoriscono l’accumulazione dell’acqua e la formazione di muffe e aflatossine. Pur non essendo un cereale da consumare quotidianamente (meglio dare la preferenza al riso), si rivela molto più gustoso in varietà vecchie come il Marano o i piemontesi Pignoletto giallo e rosso, Ottofile giallo, rosso e bianco,
- il panìco, un tempo usato per minestre e polentine, e il sorgo, già noto agli antichi romani.
- Il miglio, imparentato con questi cereali, è forse un po’ più noto ma non per questo più apprezzato: a torto, dato il suo buon profilo nutrizionale e la gustosità dei suoi chicchi.
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