“A soffrire di disturbi dello spettro autistico sono persone con condizioni diverse, e diverse esigenze”, sottolinea Giovanni Marino, presidente di Fantasia, la Federazione che riunisce le associazioni più rappresentative di familiari di persone con autismo e soggetti Asperger.
Per quantificarne la diffusione, il Ministero della salute ha avviato un osservatorio per il monitoraggio dei disturbi dello spettro autistico: “Per ora abbiamo dati solo per alcune Regioni, ma è probabile che la prevalenza sia intorno a 1 su 120 nati, simile a quanto emerso in altri Paesi”, spiega Maria Luisa Scattoni dell’Iss. In prevalenza maschi, tenendo però conto che l’autismo al femminile potrebbe essere sottostimato, “perché le bambine sono molto più socializzate e il disturbo è meno facile da individuare con i criteri attuali”, osserva Filippo Muratori dell’Irccs Stella Maris-Università di Pisa.
L’aumento delle diagnosi di autismo si deve anche a una maggiore attenzione nei confronti di questa condizione e a una maggiore sensibilità sia da parte dell’opinione pubblica che a livello istituzionale, grazie alla collaborazione tra Ministero della salute, Istituto superiore di sanità e regioni.
Di cui si tiene conto per la prima volta nei nuovi Lea, Livelli essenziali di assistenza, da poco approvati, con la legge 134 del 2015, proprio per assicurare “la tutela della salute, il miglioramento delle condizioni di vita e l’inserimento nella vita sociale delle persone con disturbi dello spettro autistico”, e che ha da poco ottenuto i primi finanziamenti. “Stiamo lavorando sulla formazione dei pediatri e abbiamo attivato un network per il riconoscimento precoce di questi disturbi”.
Anche se problemi e difficoltà non mancano, soprattutto per la difficoltà di garantire stanziamenti sufficienti per attivare i servizi necessari in modo omogeneo sul territorio nazionale. “Si scontano ancora ritardi, dovuti al fatto che solo di recente si sono identificati interventi efficaci, e comunque ci sono aree del Paese in cui le terapie non sono presenti come sarebbe necessario”, spiega Marino, “quindi molte famiglie sono ancora costrette a sostenere il peso delle terapie”.
Difficoltà a trovare specialisti
Fino a pochi anni fa era difficile anche trovare specialisti che conoscevano disturbi legati all’autismo, “e quando i ragazzi crescevano, il problema era ancora più grave: spesso persone con autismo ottenevano diagnosi di ritardo mentale o psicosi”, spiega Giovanni Marino, presidente di Fantasia, la Federazione che riunisce le associazioni più rappresentative di familiari di persone con autismo e soggetti Asperger. Il problema è che, ancora oggi, le diagnosi si basano sull’analisi del comportamento: non esistono marker biologici cui fare riferimento, e gli studi di imaging cerebrale servono ai ricercatori che cercano di comprendere le origini della malattia, ma non sono ancora utilizzabili per fare diagnosi.
“In genere, i genitori si accorgono che qualcosa non va nelle modalità di relazione del bambino, tra i 12 e i 18 mesi, ma non sempre si incontrano clinici in grado di formulare una diagnosi, che, a questa età, è ‘rischio di autismo’, spiega Filippo Muratori, dell’Irccs Stella Maris-Università di Pisa, “che invece è molto importante perché è proprio lavorando con bambini di quell’età che si ottengono i risultati migliori”.
Oggi c’è una migliore informazione sugli interventi efficaci come Teacch o Aba (Applied Behavior analysis). “E soprattutto come l’Early Start Denver Model, un intervento precoce che cerca di conciliare tecniche comportamentali con altre che tengono conto dello sviluppo cognitivo e affettivo del bambino”, spiega Muratori, che, se fatti bene, consentono di migliorare il futuro di questi bambini, sia dal punto di vista cognitivo che del linguaggio.
“I casi in cui i trattamenti precoci portano a una guarigione sono ancora pochi, il 5-10% del totale, ma si possono ottenere notevoli miglioramenti e comunque contenere la gravità del disturbo”, spiega Muratori.
“Dico sempre ai genitori dei miei pazienti che sono genitori speciali di bambini speciali con bisogni particolari”, prosegue lo psichiatra, “obiettivo del trattamento è insegnare loro quelle regole sociali che altri bambini imparano in modo automatico, modulando il trattamento in base alle loro capacità”.
A volte si utilizzano anche farmaci, “ma servono soprattutto per attenuare alcuni sintomi che creano disagio”, ricorda Marino, “non esistono terapie specifiche”. E anche i farmaci più utilizzati, come il risperidone, richiedono cautela e strategie personalizzate, perché possono aver effetto paradosso su alcuni soggetti, causando reazioni opposte a quelle desiderate.
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Il rischio di interventi inutili
Le indicazioni dell’Iss mettono invece in guardia nei confronti di interventi giudicati inutili o addirittura pericolosi, come la Comunicazione assistita o facilitata, che permetterebbe a bambini o ragazzi con gravi problemi di comunicazione di scrivere utilizzando una tastiera con l’aiuto di un “facilitatore”.
Oppure le terapie chelanti, basate sull’idea mai dimostrata che la sindrome sia legata all’accumulo nell’organismo di sostanze tossiche, e che oltre a essere inefficaci possono rappresentare un pericolo.
Per quanto riguarda i regimi alimentari da adottare, la questione è più complessa: “è sicuramente utile, ma non abbiamo alcuna conferma che possa agire sull’autismo”, spiega Muratori.
In generale, oggi c’è un atteggiamento diverso nei confronti di questi disturbi, e si comincia a vederne i risultati:
“Molti adulti e giovani adulti con disturbi dello spettro autistico sono più gravi di quanto avrebbero potuto essere se aiutati con interventi adeguati”, ricorda Marino. “Oggi le forme più gravi del disturbo rappresentano il 30-40% e, in generale, si punta sul recupero più che sull’istituzionalizzazione”.
Investire in terapie e formazione aiuta a rendere le persone più autonome, “a garantirgli una migliore qualità di vita, ma anche a evitare spese maggiori per il futuro”, prosegue Marino.
“E se oggi fortunatamente c’è una legge sul ‘dopo di noi’, è importante che anche le famiglie si attivino usando le risorse disponibili”, collaborando affinché i ragazzi vadano verso l’autosufficienza e sappiano affrontare le prime esperienze lavorative.
Un servizio dedicato: Telefono Blu per orientarsi
“Telefono Blu Autismo” promosso da Angsa aiuta le famiglie a orientarsi, evitando di cadere vittime di presunti esperti che speculano su questi disturbi proponendo soluzioni miracolistiche e terapie inutili o pericolose.
Chiamando il numero gratuito 800/031819, attivo nei giorni feriali dalle 9,30 alle 13, si ottengono indicazioni sulle terapie più corrette, sui centri qualificati disponibili sul territorio e su come ottenere le prestazioni previdenziali cui si ha diritto.
Tra le funzioni del servizio telefonico, c’è anche quella di sostenere psicologicamente le famiglie, aiutandole a sentirsi meno sole, oltre che a fornire informazioni utili a insegnanti e operatori.
Info: Telefono Blu Autismo, e-mail: telefonobluautosimo@gmail.com.