Il cous cous è certamente l’alimento etnico più noto in Italia. È un simbolo di tradizione ma anche di globalizzazione. In virtù anche di un certo tipo di turismo ormai di massa e al forte tasso di immigrazione dal Nord Africa.
Si tratta di un prodotto tipico di tutta la fascia del Nord Africa, con qualche estensione nei vicini Paesi Arabi, diffusosi nei secoli in numerose altre parti del mondo, dall’America del Sud alla Spagna, dalla Francia fino in Sicilia.
Tempo e pazienza
L’estrema varietà di influenze di questa pietanza ha fatto dire a Edoardo Raspelli, uno dei guru della cucina in Italia, che il cous cous è il “piatto della pace tra i popoli del Mediterraneo”.
Si dice che il nome derivi dal greco coskinon, semola. E la semola di grano è l’ingrediente base di questo piatto: mille e mille granelli come la sabbia del deserto.
Nonostante si tratti di un cibo “povero” (sfarinato di frumento con eventuale aggiunta di farine leguminose, cotto al vapore e successivamente insaporito con ortaggi mediterranei – anch’essi bolliti – e spezie), il cous cous può essere considerato un cibo completo e forse l’antesignano dei “piatti unici”.
Affetti e solidarietà
Nei paesi del Maghreb il cous cous viene portato sulle tavole alla sera. Una tradizione che trae le sue origini dal fatto che i popoli nomadi consumavamo il pasto dopo il tramonto, quando si fermavano per la notte sotto la tenda. Ma in Marocco lo si consuma nel primo pomeriggio, a pranzo.
La tradizione vuole che si mangi tutti insieme intorno a un unico piatto utilizzando le mani, ma rispettando una rigida etichetta che regola il mangiare con le dita. Prima di iniziare il pasto viene sussurrato la Biss’mi Allah, una preghiera di benedizione per la mensa.
Per servirsi non si utilizzano posate ma pane non lievitato. La valenza sociale di questo piatto è molto forte, infatti, si mangia solo insieme alla famiglia o a chi viene considerato parte della comunità.
Il cous cous aiuta a riscoprire la convivialità durante il pasto, sempre più importante di fronte ai ritmi della vita che pongono diversi ostacoli al dialogo, allo scambio, all’affetto. In altre parole, al piacere di stare insieme.
Secondo Pellegrino Artusi, il gastronomo banchiere che nel 1800 canonizzò per primo i piatti della cucina italiana, il cous cous si diffuse nel nostro Paese grazie alle comunità israelitiche. Furono i discendenti di Mosé e Giacobbe nelle loro peregrinazioni per il mondo, a diffonderlo. Proprio queste origini ci fanno comprendere meglio come preparare e consumare cous cous siano attività legate più a una visione religiosa che a quella strettamente gastronomica.
Che trionfino i sapori della fantasia
La preparazione classica del cous cous richiede la presenza di ingredienti come la carne di montone, agnello, pollo o manzo. Ma è ottimo anche con le verdure , perché questo cibo si presta a una varietà infinita di piatti. Maftoul, kseksou, burgul, tabouleh…
Oggi il cous cous è uno tra i primi esempi di glocal: cibo globalizzato più di tanti altri, ma camaleontico rispetto alla gastronomia locale.
In Costa d’Avorio tra gli ingredienti ci sono i tuberi di manioca, a San Paolo del Brasile non mancano i cuori di palma e in Marocco lo smen, un burro fermentato, e la cannella. In Sicilia il pesce, e così via. È evidente, quindi, come il cous cous sia un cibo che amalgama le usanze di tanti popoli, resta un simbolo da cui prendere spunto. Oggi più che mai.
Ma per amore di “pace”, se la preparazione vi sarà sembrata complicata, non perdetevi d’animo: il cous cous si trova nei negozi di prodotti naturali e anche al supermercato!
Insomma, che la fantasia abbia il sopravvento. Beteavòn! Buon appetito… e buon divertimento!