Liberarsi dal fumo

da | 6 Mag, 2022 | Dipendenze

di Giacomo Mangiaracina*

I dati non sono rassicuranti. Ogni anno, 80mila fumatori italiani muoiono con 10-12 anni di anti- cipo rispetto a chi non fuma. Un’ecatombe. O forse un olocausto dorato come ebbe a definirlo Robert Proctor nel suo saggio Golden Holocaust: origins of cigarettes catastrophe, dove c’è chi muore con atroci sofferenze e c’è chi si arricchisce con le loro morti.

Stiamo parlando di 8 milioni di decessi per anno nel mondo. Venti anni fa erano meno di 6 milioni, ma in Italia i morti da fumo superavano di poco gli 80mila, allora come oggi.

Questi semplici dati bastano già per capire che le grandi compagnie del tabacco hanno avuto un significativo incremento del mercato mondiale, specie nei Paesi poveri, mentre in Italia come altrove in Europa, hanno semplicemente tenuto il mercato. Quello dei consumatori fidelizzati e dei decessi fumo-correlati.

La differenza dipende dall’angolo di osservazione nel quale ci si pone. Perché chi fuma è una persona che il rischio se lo compra a prezzi alti.

E il rischio è la possibilità che accada qualcosa di brutto, di ammalarsi seriamente e di accorciare la vita di molti anni soffrendo.

Un adolescente di 14-16 anni comincia con poche sigarette, fumando in modo discontinuo, e finisce per inalare quotidianamente, in media, il fumo di 5.000 sigarette l’anno.

Messi tutti insieme, 11 milioni di italiani fumano, con buona approssimazione, 60 miliardi di sigarette l’anno. Il maggiore consumo avviene fra i 30 e i 55 anni, per poi diminuire nella terza età.

Il motivo per cui si smette è legato al fatto che a quella età i danni causati dal fumo sono già in es- sere e si fanno sentire.

 

Ma come si spiega l’ostinata resistenza a fumare quando da mezzo secolo tutta la stampa mondiale non fa altro che parlare dei danni devastanti scientificamente dimostrati?

 

Le due facce di una patologia

“Il fumo uccide” è l’avvertenza riportata da anni a chiare lettere sul pacchetto, con le immagini che mostrano il danno in varie forme.

Sul piano razionale, nessuno acquiste- rebbe mai al supermercato un qualsivoglia prodotto sulla cui confezio ne vi sia scritto che “uccide”.

Persino nel maneggiare gli antiparassitari facciamo molta attenzione. Peraltro la gente, e i fumatori nello specifico, non sanno che proprio la nicotina è un antiparassitario potente che non dà scampo agli insetti, e neppure agli umani.

Il fatto, dunque, che un fumatore compri ugualmente le sigarette, nonostante le avvertenze e le accise (il costo reale di un pacchetto di sigarette è meno di 1 euro, ma viene venduto a 5 euro) cerchino di scoraggiarlo, significa certamente qualcosa.

Significa che la razionalità è andata in malora. Il rapporto con la sigaretta è divenuto una forma di relazione complessa tra la persona e l’oggetto, caricato di forti significati.

Sotto certi aspetti non vi è molta differen- za con quelle donne assoggettate a un partner violento che rovina loro l’esistenza e nonostante tutto conti- nuano a conviverci. È a questo livello che si consumano gli efferati delitti in certi rapporti di coppia che definiamo “malati”.

Ed entriamo nel campo della dipendenza.
La dipendenza dal fumo ha almeno due facce. Una è quella che si realizza a livello neurobiologico, per azione della nicotina sui recettori cerebrali.

È un sistema molto ben studiato e identificato, che ha per- messo la produzione di farmaci usati da anni nella cura del tabagismo. L’altra – che ha poco a che vedere con la nicotina – è molto più complessa, si sviluppa nella mente e nei circuiti cerebrali e condiziona com- pletamente la vita personale e di relazione di un individuo.

Mentre nel primo caso c’è la possibilità di somministrare un trattamento sostitutivo nicotinico (cerotti, inalatori, sigaretta elettronica) o un farmaco come la Citisina (estratta dal Cytisus laburnum, il comune Maggiocion- dolo), nel secondo caso occorre un sostegno al di là del farmaco, identificato col termine di counselling.

Per essere più precisi, non esiste un qualsiasi farmaco che sia capace di curare una patologia ad alta complessità come la dipendenza. Perché si tratta di malattia. Una condizione che altera il livello di consapevolezza di un individuo producendo una vera e propria regressione cognitiva.

Il carico di significati che un tabagista proietta sull’oggettosigaretta lo rende parte di sé al punto da produrre nel tem po uno stato identitario: “Sono un fumatore”.

Questa condizione è stata rafforzata per generazioni nell’arco di un secolo attraverso il cinema, la moda, la televisione, la pubblicità ingannevole, e persino i bei negozi agghindati con gli “articoli per fumatori” come fosse uno status privilegiato.

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In lotta con le leggi

In effetti di privilegi i fumatori ne hanno avuti tanti, troppi per un Paese democratico. Dopotutto i fumatori sono sempre stati un’anomalia sociologica, una minoranza, (in Italia il 20% della popolazione) ma con privilegi da maggioranza.

Hanno potuto fumare ovunque, sui mezzi di trasporto, nei ristoranti e al cinema. Ci sono volute opportune leggi per ripristinare la democraticità e relegarli nel ruolo di minoranza senza privilegi.

L’ultima legge, quella che ha cambiato i comportamenti dei fumatori, la 3/2003 sulla Pubblica amministrazione del professor Girolamo Sirchia, entrata in vigore nel gennaio del 2005, ha finalmente liberato i luoghi di lavoro e di svago dal mortale fumo passivo, a tutela di chi non fuma, ossia della grande maggioranza degli italiani.

Da tutto questo si comprende che fumare è un tipico “bisogno” creato. Creato ad arte con le più sofisticate tecniche del marketing, il cui bersaglio sono gli adolescenti.

Le multinazionali del tabacco devono rimpiazzare ogni anno la quo ta dei fumatori che muoiono. Se muoiono 80mila fumatori l’anno, il mercato ne recluta altrettanti nuovi clienti fidelizzati, praticamente ragazzi, che cominciano con l’apprendere e fare propri i modelli pa- rentali.

I genitori fumatori offrono un 30% di probabilità in più nel far sì che i figli divengano dipendenti dal tabacco.

Farle diventare costose

Come mai non si riesce a scalfire questo zoccolo duro di fumatori, che non diminuiscono nonostante l’informazione e le leggi a tutela della salute pubblica?

Tutte le strategie di intervento, espresse per la prima volta nel Piano sanitario nazionale 98-2000, si basano su due obiettivi principali: ridurre il numero dei fumatori e ridurre quello degli adolescenti fumatori, ossia prevenire l’iniziazione.

Questi due obiettivi non sono stati ancora raggiunti in modo significativo. Il motivo è che le leggi e i divieti, pur essendo necessari, non bastano. Ci vuole una prevenzione attiva che non c’è. Sono del tutto risibili certi spot realizzati in passato con Renato Pozzetto e Nino Frassica. Praticamente uno spreco di denaro pubblico.

Le strategie di prevenzione devono “funzionare”, devono essere efficaci, centrare l’obiettivo e raggiungerlo.

Le azioni intraprese a livello internazionale sono state sviluppate su base normativa. Come la Convenzione quadro mondiale, che obbliga le nazioni ad adottare misure univoche come il confezionamento dei prodotti del tabacco con i pittogrammi sul pacchetto.

C’è ancora altro da fare e ce lo sta insegnando l’Australia, dove è in atto il progetto “Tobacco Endgame”, che ha un obiettivo ambizioso: eradicare il consumo di tabacco una volta per tutte.

Un pacchetto di sigarette in Australia e Nuova Zelanda costa 18 euro. Scoraggia fortemente i ragazzi dal cominciare a fumare, dirottando il mercato verso altri prodotti in modo che venga penalizzato soltanto il comparto “tabacco”.

Questo progetto è stato importato in Italia da esperti che hanno realizzato il Manifesto Tobacco Endgame sottoscritto da 30 società scientifiche e organizzazioni di salute pubblica, scaricabile dal sito www.tobaccoendgame.it.

Al primo punto, l’aumento della tassazione. A questo proposito, non si capisce perché a Londra le sigarette costano il doppio rispetto all’Italia; anche la Francia adotterà quanto prima questo incremento.

Occorre quindi elevare il costo del pacchet- to anche da noi. Di almeno 2 euro. Fumerà chi se lo potrà permettere, ma molti giovani si salveranno.

*Medico specialista in Salute pubblica.
Membro del Comitato Promotore Tobacco Endgame.
Presiede l’Agenzia nazionale per la prevenzione (www.prevenzioneinfo).

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