Giornalista e commentatore politico. Noto per i suoi numerosi interventi in tv, ha tra le sue abitudini quella di non mangiare carne. Una scelta con qualche eccezione, ma che esprime il desiderio di dare un piccolo contributo per migliorare il nostro pianeta. Un atteggiamento che vale la pena di approfondire, perché anche in questi ambiti sa emergere, non solo per le scelte in sé, ma per come le interpreta. È infatti vegetariano, ama gli animali, è sensibile alle tematiche ambientaliste. Ma con qualche distinguo ed eccezioni. E, soprattutto, esprimendoli senza peli sulla lingua.
Scanzi, da quanto tempo è vegetariano? “Dal 2001. Ininterrottamente. Mi condizionò, e la ringrazio ancora, la mia ex moglie. La carne non mi manca. I formaggi cerco di centellinarli. Le uova non le mangio mai. I dolci li odio. Mangio verdure, legumi, pizza. E ogni tanto pasta e pane, che quando posso mi faccio da solo. Essendo edonista e narcisista, è anche una questione estetica: se prendo mezzo chilo, mi tengo il muso e faccio 15 chilometri di corsa per punizione. Ogni tanto è successo che abbia mangiato pesce, anche perché facendo teatro e viaggiando molto capita che in certi posti a mezzanotte non ti diano nulla, ma proprio nulla, se non fish and chips surgelato o salmone affumicato. Quindi, tecnicamente, sono un vegetariano che ogni tanto (sempre meno) fa il pesciariano. Una categoria che sta antipatica tanto ai vegani quanto ai carnivori: un successone”.
Lei definisce queste sue scelte “perfettibili”, in che senso? “Tutto è perfettibile e io potrei fare molto di più per il mondo animale. Potrei smettere del tutto col pesce. Potrei rinunciare al giubbotto di pelle. Potrei mettere una sella in pelle sintetica alla mia Harley. Potrei parlare molto di più dell’abominio degli allevamenti intensivi. Eccetera. L’uomo è contraddittorio e di sicuro lo sono anch’io. Mi consola però il sapere che il mio impatto negativo sugli animali, da zero a dieci, sia 4 e non 10. È già qualcosa. A 0 non arriverò mai, magari però un giorno o l’altro scenderò a 2”.
Che cosa critica o quali rischi osserva nelle posizioni salutistiche minoritarie (vegan, fruttariani, ecc.)? “Non sono nessuno per giudicare e non sopporto le crociate becere contro i vegani. C’è gente che ormai, sull’odio contro gli animalisti, ha provato a costruire una carriera. Non amo però i talebanismi, e i vegani spesso lo sono, infatti criticano anche me perché ‘non sono abbastanza puro’. E magari hanno ragione. Io però apprezzo sempre chi vuole bene agli animali, chi ha cura di se stesso e del mondo in cui siamo immersi. Mentre disapprovo con rabbia chi si vanta della propria crudeltà e insensibilità”.
C’è una facile commozione animalista che magari piange per alcuni animali simpatici uccisi inopinatamente, ma non guarda all’immenso macello quotidiano che si compie sulle nostre tavole. Che ne pensa? “È vero, ma è anche inevitabile. Un cane fa più pena di un tonno, un agnello fa più pena di un’anatra, un capretto fa più pena di un pollo. È ingiusto, ma è così. È già un punto di partenza cominciare da qualche parte a provare pietà. L’importante è porsi – e porre – il problema. E uno dei problemi è che siamo circondati da trogloditi irrisolti che a cena ti fanno ancora la battuta sulla chianina al sangue e sono convinti che mangiare bistecche sia virile. Non mi fanno ridere”.
Crede che l’informazione sui temi della salute e dell’alimentazione, sia in genere corretta ed equilibrata? “Macché. Nessuno sa cosa mangia e, se lo sapesse, non lo mangerebbe. Ci nutriamo quasi sempre di schifezze, che non conosciamo e che paghiamo pure parecchio. Siamo allegramente stupidi. La conoscenza alimentare è rasoterra”.
Ma l’intervista continua!
Nel prossimo articolo, Scanzi ci parla del rapporto tra la nostra società e il cibo.
L’obeso come icona di una voracità consumistica