
Tabagismo
nuove strategie per smettere di fumare
Lo slogan con cui le multinazionali cercano di fare breccia in Italia è che i nuovi prodotti a base di tabacco (come le sigarette elettroniche) sono rivolti a chi “non vuole o non può smettere di fumare. Ma non è così: il loro consumo può costituire solo una strategia di “riduzione del danno”.
In realtà in nessun luogo si è ottenuto un calo dei fumatori che possa essere attribuito unicamente alle sigarette elettroniche. Tutti i successi, dove sono stati registrati, sono stati frutto di una politica di tobacco control complessiva e ben articolata.
Smettere di fumare e possibile, se sai come fare
Tre fumatori su quattro vorrebbero smettere di fumare (lo dice sempre l’Oms) e quasi tutti potrebbero, se solo sapessero come fare e se fossero aiutati a farlo correttamente.
Nel nostro Paese, purtroppo, la maggior parte dei medici non conosce le cure per il tabagismo, non le consiglia o non lo fa con efficacia. Pochissimi tabagisti accedono ai servizi specialistici.
Non si può dunque pensare a una politica di “riduzione del danno” se prima non si sono offerti prevenzione e trattamenti validati: sarebbe come prescrivere le cure palliative a un malato di cancro, senza aver prima cercato di curarlo coi metodi efficaci.
La posizione degli esperti è concorde. Anche se non c’è la combustione, l’uso di nicotina non è sicuro. Essa può indurre danni al cuore e ai vasi sanguigni.
Alcune ricerche, inoltre, mostrano che nei nuovi prodotti possono essere presenti sostanze tossiche, come i metalli pesanti, sebbene in misura minore rispetto al fumo tradizionale. Oltre a ciò, è evidente che ogni forma di consumo di nicotina alimenta la dipendenza e facilita la transizione da una forma di consumo a un altro (come si trattasse di vasi comunicanti), impedendo un affrancamento definitivo da queste sostanze.

Tabagismo: cambiano prevenzione e cure
Negli ultimi decenni, comunque, sono cambiate anche le strategie di prevenzione e le cure sono diventate più efficaci.
È ormai sostenuto da diversi studi che la prevenzione non può basarsi solo sulle informazioni sui danni da tabacco (“la lezione dell’esperto”). Per questo motivo vengono promossi progetti articolati, pluriennali, di peer-education, che potenziano le life skills – le varie abilità – dei ragazzi, come il pensiero critico, la capacità di opporsi alle pressioni degli amici, aiutandoli a coltivare relazioni sane e una buona autostima.
Sono mutati inoltre i paradigmi per interpretare il tabagismo. È evidente che non siamo davanti a un “vizio” né a un semplice fenomeno sociale, ma di fronte a una dipendenza complessa, dovuta agli effetti della nicotina sul cervello.
Mentre fino ai primi anni ’80 prevaleva l’approccio basato su tecniche o incontri per “convincere” i fumatori a smettere con l’aiuto della forza di volontà, ora i trattamenti sono integrati con i farmaci e interventi psicologici di sostegno. I tassi di successo sono così aumentati, fino a triplicare.
Fumare non è un “vizio”
Finalmente si è giunti a rifiutare un approccio colpevolizzante nei confronti dei fumatori e a considerarli ciò che sono in realtà: persone che hanno una malattia (dipendenza) causata da una sostanza chimica, di cui sono diventati schiavi quasi sempre senza volerlo.
Queste persone vanno aiutate a guarire con veri trattamenti, alleviando il più possibile il disagio della sindrome d’astinenza, così come facciamo quando andiamo dal dentista e chiediamo la somministrazione dell’anestetico per evitare la sofferenza..
Questi approcci sono ormai largamente collaudati e si basano su una seria letteratura scientifica internazionale.
I risultati? Migliori rispetto alle prime strategie, soprattutto quando le cure sono integrate (terapie farmacologiche- comportamentali).
di Biagio Tinghino, Medico, Società italiana di tabaccologia, Past President
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